martedì 5 novembre 2013

"Dubbio a posteriori: i veri grandi poeti sono i poeti minori"? Giorgio Caproni


"Dubbio a posteriori:
i veri grandi poeti
sono i poeti minori"

Meglio i poeti minori?


O i poeti incoronati?


La citazione in apertura è di Giorgio Caproni, segnato dalla critica come poeta minore... Un poeta comune, come lui ce ne sono tanti... A scuola, se ci entra, ci entra come gemello brutto di Montale, insieme al misero Sbarbaro.

Il potere della critica è vasto e vincolante: questo me la rese già antipatica.
Letti Montale e Caproni (il gemello storto), il mio rapporto con la critica si incrina ulteriormente.

Mi sono avvicinato a Caproni un bel giorno e l'ho letto, senza studi critici pregressi. Poi l'ho riletto più volte per afferarne sempre più profondamente il significato.

Caproni è un poeta denso, ma disteso. Quando si legge si ha la sensazione del suo tipico periodare complesso (a volte persino ingarbugliato), ma nello stesso tempo la sua musicalità ricorda spesso il discorso parlato.

Le rime sono forti, a volte inusuali, e spesso chiarificano il significato della poesia.
In Caproni ho trovato nello stesso momento popolarità tradizionale ed eleganza classica, finezza letteraria e vena antiletteraria. Musicalità cantabile e ritmo spezzato (con delle dissonanze improvvise). Particolari quotidiani e metafisica ricerca di Dio (che il poeta cerca per uccidere).

Il suo modo di scrivere è a volte prosastico (quasi parlato), a volte sentenzioso e incisivo.
Caproni sembra dirci che l'unico rifugio umano è l'ambiguità: i suoi viaggi alla ricerca della verità lo portano in nessun luogo, o in posti nebbiosi, assurdi, bui, vuoti. Vi propongo una sua poesia, che preferisco non commentarvi prima della lettura. Eccola (è lunga, ma semplice, e ne vale davvero la pena!):
                                   

                                   

         

 

            Congedo del viaggiatore cerimonioso


                                Amici, credo che sia
meglio per me cominciare
a tirar giù la valigia.
Anche se non so bene l’ora
d’arrivo, e neppure
conosca quali stazioni
precedano la mia,
sicuri segni mi dicono,
da quanto m’è giunto all’orecchio
di questi luoghi, ch’io
vi dovrò presto lasciare.
Vogliatemi perdonare
quel po’ di disturbo che reco.
Con voi sono stato lieto
dalla partenza, e molto
vi sono grato, credetemi,
per l’ottima compagnia.


Ancora vorrei conversare
a lungo con voi. Ma sia.
Il luogo del trasferimento
lo ignoro. Sento
però che vi dovrò ricordare
spesso, nella nuova sede,
mentre il mio occhio già vede
dal finestrino, oltre il fumo
umido del nebbione
che ci avvolge, rosso
il disco della mia stazione.
Chiedo congedo a voi
senza potervi nascondere,
lieve, una costernazione.
Era così bello parlare
insieme, seduti di fronte:
così bello confondere
i volti (fumare,
scambiandoci le sigarette),
e tutto quel raccontare
di noi (quell’inventare
facile, nel dire agli altri),
fino a poter confessare
quanto, anche messi alle strette,
mai avremmo osato un istante
(per sbaglio) confidare.
(Scusate. E’ una valigia pesante
anche se non contiene gran che:
tanto ch’io mi domando perché
l’ho recata, e quale
aiuto mi potrà dare
poi, quando l’avrò con me.
Ma pur la debbo portare,
non fosse che per seguire l’uso.
Lasciatemi, vi prego, passare. Ecco.
Ora ch’essa è
nel corridoio, mi sento
più sciolto. Vogliate scusare).
Dicevo, ch’era bello stare
insieme. Chiacchierare.
Abbiamo avuto qualche
diverbio, è naturale.
Ci siamo – ed è normale
anche questo- odiati
su più d’un punto, e frenati
soltanto per cortesia.
Ma, cos’importa. Sia
come sia, torno
a dirvi, e di cuore, grazie
per l’ottima compagnia.
Congedo a lei, dottore,
e alla sua faconda dottrina.
Congedo a te ragazzina
smilza, e al tuo lieve afrore
di ricreatorio e di prato
sul volto, la cui tinta
mite è sì lieve spinta.
Congedo, o militare
(o marinaio! In terra
come in cielo ed in mare)
alla pace e alla guerra.
Ed anche a lei, sacerdote,
congedo, che m’ha chiesto s’io
(scherzava!) ho avuto in dote
di credere al vero Dio.
Congedo alla sapienza
e congedo all’amore.
Congedo anche alla religione.
Ormai sono a destinazione.
Ora che più forte sento
stridere il freno, vi lascio
davvero, amici. Addio.
Di questo, son certo: io
son giunto alla disperazione
calma, senza sgomento.


Scendo. Buon proseguimento.





Bella eh? E' un racconto simbolico della morte.
Spero abbiate apprezzato la musicalità cantabile, distesa in apparenza, ma in realtà venata d'inquietudine.


Sei d'accordo con questa mia interpretazioni?

Non ti trovi d'accordo con le opinioni che ho espresso?

Fammi sapere nei commenti!!

Ciao!!

 Al prossimo post!! :) 

Nessun commento:

Posta un commento

Un commento fa sempre piacere.
A comment is always nice.
Un commentaire est toujours agréable.
Un comentario es siempre agradable.