martedì 12 novembre 2013

Vivere "a forza di essere vento", ecco cosa ci insegna De Andrè

Sei circondato da un'atmosfera di spazio infinito. E' uno spazio siderale che avvolge tutto. Poi il breve colpo di chitarra ti fa accorgere che lo spazio sterminato che puoi ammirare non è altro che lo spazio di una immensa prateria. Luogo di frattellanza e sospirata libertà per il nomade viaggiatore. Subito dopo cala la voce di De Andrè. E' una canzone che parla della vita dei rom, per comunicare soprattuto il senso del viaggio e della libertà, la vicinanza alla natura, e allo spirito naturale.
Il viaggio per i rom è necessità e tradizione, ma nella canzone di De Andrè diventa molto di più: simbolo stesso della libertà. La libertà è come il vento, che può viaggiare per continuamente da Est a Ovest e da Nord a Sud. Libero di viaggiare dovunque e continuamente il campo dei rom è come il vento:
quel campo strappato dal vento
  a forza di essere vento
Il viaggio dei rom non è però privo di miseria: il vento stesso (cioè il viaggio) ha strappato, ha rovinato il loro campo, costretto "tra piscio e cemento". Pur elevando il campo rom a simbolo di libertà, De Andrè non trascura la realtà più misera e sofferente che caratterizza i rom.



 Seppure l'incessante viaggio prova i nomadi e li costringe a condizioni non sempre salubri, essi conservano un vantaggio inquantificabile: il viaggio rende ricca e dolce la loro esistenza.

"porto il nome di tutti i battesimi
ogni nome il sigillo di un lasciapassare
per un guado una terra una nuvola un canto
un diamante nascosto nel pane 
per un solo dolcissimo umore del sangue 
per la stessa ragione del viaggio viaggiare"



La ricchezza umana dei rom si riflette nella loro saggezza e sensbilità, derivata dalla loro vicinanza alla natura e al suo linguaggio:

"saper leggere il libro del mondo
con parole cangianti e nessuna scrittura"
Non a caso nelle lingue più antiche (greco e ebraico) si indicavano con lo stesso termine il vento (nella canzone è il simbolo della libertà dei rom), il soffio vitale, e lo spirito naturale.

I rom che si fermano in un paese perdono tutta la loro richezze e capacità percettive:

"qualche rom si è fermato italiano
come un ramo a imbrunire su un muro"


Come dicevamo, pur elevando i rom a simbolo ideale, De Andrè non trascura le sofferenze dei rom, che sembra suggerire, proprio per la loro richhezza, e quindi diversità, hanno dovuto patire tanto dalla storia:

"i figli cadevano dal calendario
Jugoslavia Polonia Ungheria
i soldati prendevano tutti
e tutti buttavano via"
E' infatti noto che furono circa 500 000 i rom uccisi nei campi di sterminio nazisti.


Le miserie dei rom continuano, le miserie di chi ha vissuto "a forza di essere vento" in una società che invece è il contrario. Un'altra spiacevole miseria è l'elemosina e in particolare lo sfruttamento delle bambine in essa:
"ora alzatevi spose bambine
che è venuto il tempo di andare
con le vene celesti dei polsi
anche oggi si va a caritare"
De Andrè ci ha raccontato la storia di sofferenza dei rom, la loro ricchezza interiore, guadagnata con il viaggio e la sofferenza, la loro saggezza. Ora ci chiama a non giudicare il popolo rom, in quanto essere umano, spinto ad agire in modo diverso dal nostro da ragioni profonde che non siamo in grado di valutare, in quanto come loro, condividiamo la limitatezza del giudizio umano. Infatti nessuno può arrogarsi di avere il punto di vista di Dio.

 "e se questo vuol dire rubare
questo filo di pane tra miseria e sfortuna
allo specchio di questa kampina
ai miei occhi limpidi come un addio
lo può dire soltanto chi sa di raccogliere in bocca
il punto di vista di Dio"



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Ora il mio blog è traferito qui  http://critiquone.blogspot.it/

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Al prossimo post!! :)



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